Procedimento amministrativo, Risarcimento del danno _ Sentenze

Pubblicato il 17/10/2022

01050/2022REG.PROV.COLL.

00071/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il CONSIGLIO DI GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA PER LA REGIONE SICILIANA

Sezione giurisdizionale

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 71 del 2019, proposto da
-OMISSIS–., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato _____, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio fisico eletto presso il suo studio in _____;

contro

Dipartimento della formazione professionale Assessorato dell’istruzione e della formazione professionale, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura distrettuale dello Stato, domiciliataria ex lege in Palermo, via Villareale 6;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia (Sezione Terza) n. -OMISSIS-, resa tra le parti,

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di Dipartimento della Formazione Professionale Assessorato dell’Istruzione e della Formazione Professionale;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 21 settembre 2022 il Cons. Sara Raffaella Molinaro e uditi per le parti gli avvocati come da verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1.La controversia ha natura risarcitoria.

2.Con decreto del dirigente generale del Dipartimento regionale dell’istruzione e della formazione professionale n. 332 del 10 febbraio 2014 è stata sospesa l’efficacia del provvedimento di concessione dell’accreditamento provvisorio di tutte le sedi operative identificate con il -OMISSIS- dell’–OMISSIS- (di seguito “-OMISSIS-”) con sede a Palermo in Via -OMISSIS-, ed è stato sospeso, con effetto immediato, lo svolgimento di qualsivoglia attività di orientamento e/o formazione professionale nell’ambito della Regione all’ente ricorrente con contestuale sospensione di ogni finanziamento.

3.Detto provvedimento è stato impugnato dal fallimento dell’-OMISSIS- davanti al Tar Sicilia – Palermo.

4.Con motivi aggiunti è stato impugnato il decreto del dirigente generale del Dipartimento regionale dell’istruzione e della formazione professionale n. 4363 del 6 agosto 2014, con il quale è stato revocato il D.D.G. n. 1037 del 13 aprile 2006 di concessione dell’accreditamento provvisorio di tutte le sedi operative identificate con il -OMISSIS- dell’-OMISSIS- con sede a Palermo in Via -OMISSIS-, e annullato, con effetto immediato, il -OMISSIS- assegnato all’ente al quale venne interdetto, sempre con effetto immediato, lo svolgimento di qualsivoglia attività di orientamento e/o formazione professionale nell’ambito della Regione Siciliana.

5.Successivamente è intervenuto il fallimento dell’Ente ricorrente e il curatore del relativo fallimento si è costituito con atto di riassunzione depositato il 19 ottobre 2015.

6.Con ulteriori motivi aggiunti è stato gravato il decreto del dirigente generale del Dipartimento regionale dell’istruzione e della formazione professionale n. 8255 del 5 novembre 2015, con il quale è stato revocato il D.D.G. n. 1037 del 13 aprile 2006 di concessione dell’accreditamento provvisorio di tutte le sedi operative identificate con il -OMISSIS- dell’-OMISSIS- con sede a Palermo in Via -OMISSIS-, annullato, con effetto immediato, il -OMISSIS- assegnato all’ente e interdetto, sempre con effetto immediato, lo svolgimento di qualsivoglia attività di orientamento e/o formazione professionale nell’ambito della Regione siciliana all’ente ricorrente.

Con i medesimi motivi aggiunti è stata formulata domanda risarcitoria.

7.Con sentenza 22 giugno 2018 n. 1488 il Tar ha annullato gli atti impugnati e ha respinto la domanda risarcitoria.

8.Con ricorso n. 71 del 2019 è stato appellato il capo della sentenza con il quale è stata rigettata la domanda risarcitoria proposta in prime cure con i secondi motivi aggiunti.

9.In seguito all’ordinanza 28 marzo 2022 n. 375 è stata depositata, da parte dell’-OMISSIS-, l’autorizzazione del giudice delegato all’appello e, da parte dell’Amministrazione, la documentazione richiesta.

10.Nel corso del giudizio di appello si è costituito l’Assessorato regionale all’istruzione e alla formazione professionale.

11.All’udienza del 21 settembre 2022 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

12.L’appello è infondato.

13.In via pregiudiziale si rileva che è stata acquisita l’autorizzazione del giudice delegato al curatore fallimentare che ha proposto il ricorso in appello, così come richiesto dall’ordinanza n. 375 del 2022 ai sensi dell’art. 25 del r.d. 16 marzo 1942 n. 267.

14.Sempre in via pregiudiziale il Collegio ritiene ammissibile la documentazione depositata da parte appellante in allegato alla memoria 21 luglio 2022 in quanto la documentazione risulta indispensabile per la decisione della causa e l’esigenza di produrla è stata occasionata dalla relazione istruttoria presentata dall’Amministrazione in adempimento dell’ordinanza n. 375 del 2022 di questo CGARS.

15.Con il ricorso in appello è stata riformulata la domanda di risarcimento dei danni derivanti dagli illegittimi provvedimenti gravati, dedotta in primo grado con motivi aggiunti.

15.1. Con i secondi motivi aggiunti proposti al Tar parte ricorrente, odierna appellante, ha chiesto i danni derivanti dall’illegittima sospensione e dall’illegittima revoca dell’accreditamento. L’ente appellante avrebbe subito dei danni per il fatto di non avere potuto operare nelle annualità 2013 e 2014 a causa dei provvedimenti annullati, “perdendo in tal modo la possibilità di esercitare le attività autorizzate ed oggetto dell’accreditamento”.

In ordine al quantum è stato chiesto il risarcimento di “una somma pari agli importi che le sarebbero spettati se avesse potuto continuare a svolgere le attività anche per gli anni 2013/2014, o nella maggiore o minore somma che codesto ecc.mo Tribunale riterrà di giustizia”.

Secondo l’-OMISSIS- il danno dovrebbe essere risarcito quanto meno a titolo di perdita di chance.

15.2. Il Tar ha annullato i provvedimenti di sospensione e revoca per vizi procedurali ma ha respinto la domanda risarcitoria in quanto “la causa petendi della domanda risarcitoria azionata non è congruente con i danni che parte ricorrente assume di avere subito.

Invero la domanda risarcitoria proposta trova fondamento nella illegittimità dei provvedimenti impugnati; conseguentemente gli eventuali danni astrattamente imputabili all’adozione di tali atti illegittimi (secondo quanto precedentemente scrutinato) sono esclusivamente quelli derivanti dalla loro efficacia de iure, circoscritta al periodo temporale decorrente della loro adozione a quando ne è stata sospesa l’efficacia.

Eventuali altri danni conseguenti a comportamenti indebiti dell’amministrazione (quali il mancato pagamento di pregressi finanziamenti già disposti) non sono conseguenza dell’efficacia dei provvedimenti impugnati ed è anche dubitabile che costituiscano, in termini astratti, illeciti aquilani.

Parte ricorrente non ha fornito alcuna indicazione – né men che mai alcun supporto probatorio – dei danni che avrebbe subito in conseguenza dell’efficacia dei provvedimenti impugnati, per il periodo di vigenza.

Inoltre appare opportuno rilevare che i motivi di illegittimità dei provvedimenti impugnati, riscontrati nella presente sentenza, attengono a profili formali dell’azione dell’amministrazione; e poiché rimane impregiudicata la loro correttezza sostanziale, non è neanche configurabile il requisito dell’ingiustizia del danno astrattamente subito”.

15.3. Con il ricorso qui in esame l’appellante ha evidenziato come abbia mantenuto una struttura in perdita in attesa di un finanziamento illegittimamente negato e mai pervenuto, “facendo ragionevolmente e legittimamente affidamento sull’accreditamento concesso manteneva in piedi una struttura (sede, dipendenti, ecc…) per la preparazione, l’avvio e lo svolgimento delle attività di formazione previste”.

Ha quindi precisato che “i danni subiti sono stati causati dalla sospensione e revoca dell’accreditamento” in quanto illegittimi: l’efficacia degli (illegittimi) provvedimenti di sospensione e revoca dell’accreditamento (solo tardivamente annullati) hanno determinato, nelle more, un danno innegabile (tanto da determinare il fallimento dell’Ente).

L’appellante ha altresì censurato la sentenza impugnata nella parte in cui il Tar ha affermato che non sarebbe stata provata l’entità dei danni.

Per gli anni 2011 e 2012 i suddetti importi troverebbero causa proprio nella circostanza che i corsi erano stati svolti.

L’appellante ha quantificato il danno in una “somma pari agli importi che le sarebbero spettati se avesse potuto continuare a svolgere le attività anche per gli anni 2013/2014, o nella maggiore o minore somma che codesto Ecc.mo Tribunale riterrà di giustizia”, chiedendo eventualmente la condanna ai sensi dell’art. 34 comma 4 c.p.a.

15.4. La domanda risarcitoria non può essere accolta.

15.5. Nel tempo si sono succeduti tre provvedimenti (fonte di danno, in base alla prospettazione di parte appellante), poi annullati con la sentenza gravata:

– il provvedimento di sospensione dell’accreditamento, n. 332 del 10 febbraio 2014, impugnato con il ricorso originario, che è stato infatti dichiarato illegittimo dal Tar “per il mancato previo avviso di inizio procedimento e per la mancanza di adeguata motivazione idonea a supportare le determinazioni assunte”;

– il provvedimento di revoca dell’accreditamento, n. 4363 del 6 agosto 2014, che è stato annullato in quanto “la comunicazione di avvio del procedimento di revoca dell’accreditamento non indica tutte le ragioni poste a fondamento della revoca poi adottata, né risulta che tali ragioni abbiano comunque costituito oggetto di contraddittorio procedimentale”;

– il provvedimento di conferma della revoca, n. 8255 del 5 novembre 2015, che è stato ritenuto dal Tar illegittimo in via derivata in ragione del vizio della prima revoca.

Il fallimento dell’-OMISSIS- (poi revocato) è circostanziato facendo riferimento al “fallimento n. 12 del 20.12.2014” (così nell’attestazione di conformità all’autorizzazione del giudice delegato), con indicazione sostanzialmente coincidente a quella contenuta nell’istanza depositata come allegato 6 della relazione istruttoria, nella quale si fa riferimento a “Fall. 12 del 20.12.2014 – 22.01.2015”, mentre le parti non hanno specificato, né altrimenti attestato, la data della pronuncia di fallimento (pur essendo certo che il fallimento è intervenuto prima dell’atto di riassunzione depositato il 19 ottobre 2015).

Si tratta quindi di verificare se e quali danni hanno prodotto i provvedimenti annullati sulla situazione finanziaria della società, considerando comunque che il fallimento è intervenuto in data 20 dicembre 2014 e che, indipendentemente dalla successiva revoca del medesimo (a cagione della natura non commerciale dell’attività esercitata dall’-OMISSIS-), disposta dalla Corte di cassazione nel 2020 (sentenza 21 ottobre 2020 n. 22955), esso presuppone una crisi finanziaria non superabile e ha impedito la continuità dell’attività associativa.

Con la dichiarazione di fallimento, infatti, l’attività si arresta e i beni aziendali sono destinati a essere liquidati per soddisfare i creditori. Sicché la dichiarazione di fallimento costituisce una causa impeditiva della continuazione dell’attività associativa. Da quel momento, pertanto, non possono più essere chiesti danni per la lievitazione dei costi di funzionamento dell’ente, né possono essere compiute attività da remunerare. Sicché gli effetti del provvedimento di revoca dell’accreditamento non possono essersi riverberati sull’attività dell’-OMISSIS- oltre tale data. Del resto è la stessa parte appellante a delineare il fallimento come evento di danno (“se l’Amministrazione regionale non avesse tagliato i finanziamenti, non vi sarebbe stata la revoca dell’accreditamento ed il fallimento dell’Ente”).

15.6. Detto ciò in termini di inquadramento della posizione di parte appellante, il Collegio si appresta a valutare la sussistenza dei presupposti per l’accoglimento della domanda risarcitoria.

L’Adunanza plenaria ha affermato che la responsabilità in cui incorre l’Amministrazione per l’esercizio delle funzioni pubbliche è inquadrabile nella responsabilità da fatto illecito (Ad. plen. 23 aprile 2021 n. 7).

I requisiti della responsabilità da fatto illecito sono la presenza di una condotta imputabile, il danno ingiusto, il nesso di causalità e l’elemento soggettivo.

Di tali requisiti due meritano di essere attenzionati nella presente controversia: l’ingiustizia del danno e il nesso di causalità.

15.7. “Elemento centrale nella fattispecie di responsabilità ora richiamato è quindi l’ingiustizia del danno, da dimostrare in giudizio”. Declinata nel settore relativo al risarcimento del danno per lesione di interessi legittimi, di cui all’art. 7 comma 4 c.p.a., “il requisito dell’ingiustizia del danno implica che il risarcimento potrà essere riconosciuto se l’esercizio illegittimo del potere amministrativo abbia leso un bene della vita del privato, che quest’ultimo avrebbe avuto titolo per mantenere o ottenere, secondo la dicotomia interessi legittimi oppositivi e pretensivi” (23 aprile 2021 n. 7).

La decisione sulla domanda risarcitoria quindi “dipende dalla decisione in ordine alla spettanza del bene della vita” (Ad. plen. 23 aprile 2021 n. 7). Ciò in quanto l’ingiustizia del danno che fonda la responsabilità dell’Amministrazione per lesione di interessi legittimi si correla alla dimensione sostanzialistica di questi ultimi, quali interessi correlati a un bene della vita coinvolto nell’esercizio della funzione pubblica, e comunque a una situazione soggettiva sostanziale facente parte della sfera giuridica di cui il soggetto è titolare.

In tale prospettiva “solo se dall’illegittimo esercizio della funzione pubblica sia derivata per il privato una lesione della sua sfera giuridica quest’ultimo può fondatamente domandare il risarcimento per equivalente monetario” (Ad. plen. 23 aprile 2021 n. 7).

Ne deriva che, anche nell’impostazione più recente dell’Adunanza plenaria, la responsabilità dell’Amministrazione dipende nel caso di specie dallo scrutinio del motivo di impugnazione relativo alla spettanza del bene della vita.

Non è quindi sufficiente allegare l’illegittimità dei provvedimenti per superare lo scrutinio del requisito (della fattispecie risarcitoria) dell’ingiustizia del danno, specie allorquando l’illegittimità si fonda su mere inadempienze procedurali, come nel caso di specie.

Senonché, nel caso di specie i provvedimenti impugnati hanno impedito la prosecuzione di un’attività che altrimenti parte appellante aveva titolo per proseguire, sicché, benché l’annullamento dei provvedimenti impugnati sia stato determinato da carenze procedurali e motivazionali, solo una successiva riedizione del potere con modalità emendative dei vizi riscontrati avrebbe potuto produrre l’effetto impeditivo dell’attività associativa, che altrimenti l’-OMISSIS- aveva titolo a continuare.

Posto che l’annullamento è stato pronunciato con sentenza -OMISSIS- e che il 20 dicembre 2014 è stato dichiarato il fallimento dell’Ente (revocato solo con sentenza della Corte di cassazione depositata il 21 ottobre 2020, quindi in una data successiva alla pubblicazione della sentenza del Tar), non può imputarsi all’Amministrazione la mancata riedizione del potere.

Pertanto, atteso che l’annullamento è stato disposto non facendo riferimento a profili sostanziali, è questo Giudice a dover valutare se il soggetto istante avrebbe avuto comunque titolo per proseguire l’attività, non essendo comunque sufficiente l’allegazione della mera illegittimità degli atti per vizi procedurali e motivazionali, che altrimenti il danno non può qualificarsi come ingiusto.

Il provvedimento di sospensione dell’accreditamento, impugnato con il ricorso originario, è stato infatti dichiarato illegittimo dal Tar “per il mancato previo avviso di inizio procedimento e per la mancanza di adeguata motivazione idonea a supportare le determinazioni assunte”.

Il provvedimento di revoca dell’accreditamento è stato annullato in quanto “la comunicazione di avvio del procedimento di revoca dell’accreditamento non indica tutte le ragioni poste a fondamento della revoca poi adottata, né risulta che tali ragioni abbiano comunque costituito oggetto di contraddittorio procedimentale”.

Detto vizio procedimentale che inficia la revoca adottata il 6 agosto 2014 ha viziato “indiscutibilmente, in via derivata, anche la sua conferma, con effetti retroattivi” (così la sentenza gravata).

Ne deriva che la pronuncia gravata, nella parte con la quale il Tar ha accolto la domanda di annullamento, ha dato soddisfazione al solo interesse strumentale del ricorrente, qui appellante.

Dalla sentenza del Tar, in particolare, non emergono elementi per ritenere che, in sede conformativa, la riedizione del potere avrebbe potuto condurre l’Amministrazione a determinarsi in modo favorevole, potendo essa conformarsi emendando il procedimento con comunicazione adeguata alla parte e motivando in modo congruo. Anche il vizio motivazionale può infatti essere superato senza modificare la decisione finale, né può prevedersi in anticipo l’esito della riedizione del potere dal momento che detta omissione impedisce di valutare proprio la sussistenza, o meno, dei presupposti dell’adozione dell’atto. E ciò a maggior ragione se si considera che il giudice di primo grado ha respinto i motivi di illegittimità di natura sostanziale.

In particolare, il Tar ha ritenuto, con riferimento alle censure rivolte al decreto n. 4363 del 6 agosto 2014, che “la revoca in questione trova fondamento in una pluralità di ragioni ciascuna delle quali sufficienti a giustificarla, di modo che la tesi della ricorrente – circa la mancata indicazione di ragioni idonee a giustificare il provvedimento impugnato – potrebbe ritenersi fondata solo ove nessuna delle ragioni indicate in detto atto sia idonea a supportarlo”, fra di esse la vocazione commerciale dell’ente, la mancata acquisizione della documentazione richiesta dalla Deolitte & Touche, “in quanto la ricorrente non l’ha trasmessa”, per mancata corresponsione delle retribuzioni e per gravi e reiterate carenze nella gestione e nella rendicontazione dell’attività svolta dall’ente”.

Detto connotato “risulta confermato dal fatto che, nelle more del presente giudizio, l’ente è stato dichiarato fallito”, che la stessa non ha trasmesso la documentazione dovuta e che “in ogni caso la revoca disposta risulta giustificata dall’incontestata circostanza che non risultano regolarmente corrisposte le retribuzioni ai dipendenti dell’ente”, motivando sul fatto che non può essere richiamata a giustificazione la mancata ricezione dei finanziamenti pubblici.

Con riferimento al decreto n. 8255 del 5 novembre 2015, di conferma della revoca disposta dal precedente decreto del 6 agosto 2014, il Tar ha ritenuto non fondato il motivo con il quale parte ricorrente ha assunto che il provvedimento impugnato “si porrebbe in elusione dei provvedimenti cautelari adottati da questo Tribunale e dal CGA nella presente controversia, con riferimento alla conferma del decreto del 6 agosto 2014”. Ciò in quanto “l’adozione di una misura cautelare non determina l’obbligo dell’amministrazione interessata di non intervenire nella vicenda oggetto di giudizio, modificando o confermando le proprie statuizioni, originariamente adottate”.

Considerati i motivi di illegittimità accertati dal Tar nei provvedimenti gravati non è sufficiente a integrare il requisito dell’ingiustizia del danno la mera allegazione di detta invalidità, senza approfondimento delle ragioni di infondatezza sostanziale delle determinazioni assunte dall’Amministrazione, e ciò a maggior ragione se si considera che il giudice di primo grado ha ritenuto infondate le censure di merito dedotte con il ricorso introduttivo (con statuizione non impugnata specificamente, atteso che l’appello è rivolto a impugnare la decisione sulla domanda risarcitoria).

In particolare è onere di chi chiede il risarcimento del danno provare gli elementi della fattispecie e, in particolare, per quanto attiene all’ingiustizia del danno non tanto “dimostrare quale altro e diverso contenuto (legittimo) avrebbe dovuto e/o potuto avere l’atto impugnato” (come invece ritenuto da parte appellante) ma provare l’insussistenza delle ragioni poste a giustificazione dei provvedimenti adottati e, in particolare, della revoca, atteso il breve lasso di tempo nel quale ha prodotto effetti il provvedimento di sospensione.

Né può al riguardo invocarsi l’art. 21-octies della legge n. 241 del 1990, così onerando l’Amministrazione di provare che il contenuto dei provvedimenti non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato, in quanto detta previsione è funzionale a impedire l’annullamento dell’atto, non a paralizzare la domanda di risarcimento danni, rispetto alla quale è la parte istante a dover provare la sussistenza dei presupposti.

Non è infatti sufficiente affermare che i provvedimenti illegittimi hanno provocato conseguenze negative nella sfera giudica del destinatario, dovendosi anche comprovare che dette conseguenze siano ingiuste, circostanza che ricorre, in base all’impostazione dell’Adunanza plenaria n. 7 del 2021, solo in caso sia provata la lesione del bene della vita.

Né è in tal senso sufficiente affermare che la pretesa sostanziale dell’appellante sarebbe dovuta essere soddisfatta in quanto il motivo di revoca riguardante il pagamento delle retribuzioni troverebbe causa nella condotta dell’Amministrazione e non potrebbe pertanto giustificare la determinazione negativa a danno dell’appellante.

Invero la revoca impugnata con i primi motivi aggiunti e annullata dal Tar è un atto plurimotivato, che non si fonda solamente sulla mancata corresponsione delle retribuzioni ma anche su altri motivi (omessa trasmissione di documentazione necessaria al fine di ritenere superate le irregolarità, attribuzione di incarichi allo stesso legale rappresentante dell’ente, di cui è messo in dubbio il carattere di gratuità dei medesimi, pure dichiarato, e natura commerciale dell’attività svolta).

15.8. Sicché l’eventuale superamento della sola circostanza del mancato pagamento delle retribuzioni non è idoneo a far desumere che la revoca non dovesse essere adottata e quindi che parte appellante avesse titolo per pretendere di mantenere l’accreditamento.

Né risulta a tal fine sufficiente il superamento della tematica della qualificazione dell’attività svolta dall’-OMISSIS- in termini di attività economica o meno (tematica che risulta superata in senso favorevole a parte appellante dalla sentenza della Corte di cassazione del 2020 che ha disposto la revoca del fallimento).

Infine la rilevanza dei doppi incarichi ricoperti dal legale rappresentante dell’-OMISSIS- non è idonea a superare tutte le carenze addotte a motivo della revoca.

Detto ciò con riferimento al provvedimento di revoca n. 4363 del 2014, si rileva invece che, rispetto al provvedimento di sospensione il Tar lo ha annullato “per il mancato previo avviso di inizio procedimento e per la mancanza di adeguata motivazione idonea a supportare le determinazioni assunte”. Sicché non emergono elementi sui quali valutare quale sarebbe stato l’esito della riedizione del potere dal momento che detta omissione impedisce di valutare proprio la sussistenza, o meno, dei presupposti dell’adozione dell’atto.

Nondimeno si rileva che il provvedimento interinale di sospensione del 10 febbraio 2014 non può avere prodotto effetti oltre il 6 agosto 2014, data di adozione del provvedimento di revoca n. 4363, posto comunque che il primo è stato sospeso con ordinanza cautelare di questo CGARS l’11 luglio 2014 n. 370. Ed è pertanto solo con riferimento a tale intervallo temporale che sarà valutata (infra) l’incidenza casuale di detto provvedimento sull’asserito danno.

Quanto invece al decreto n. 8255 del 5 novembre 2015, di conferma della revoca disposta dal precedente decreto del 6 agosto 2014 (annullato dal Tar per illegittimità derivata) si osserva che il medesimo è intervenuto dopo la dichiarazione di fallimento del 20 dicembre 2014, così non potendo essere considerato in termini di causa dell’impedimento allo svolgimento dell’attività, già inibita dalla declaratoria del giudice civile.

15.9. Né può ritenersi che l’ingiustizia del danno possa essere desunta dall’asserito mancato rispetto delle pronunce cautelari.

Invero l’accoglimento da parte del CGARS dell’istanza cautelare, respinta in primo grado, avverso il provvedimento di sospensione impugnato con il ricorso introduttivo è stato disposto con ordinanza 11 luglio 2014 n. 370.

Ad essa ha fatto seguito il provvedimento di revoca impugnato con i primi motivi aggiunti, decreto 6 agosto 2014 n. 4363, adottato quindi nell’immediatezza dell’ordinanza di sospensione, così superandola.

Impugnato con i primi motivi aggiunti il decreto n. 4363 del 2014, con ordinanza n. -OMISSIS- il Tar ha accolto la domanda cautelare presentata, ordinando “all’Amministrazione di reiterare il procedimento da cui è scaturito il provvedimento impugnato, garantendo al ricorrente le garanzie di partecipazione procedimentale su tutte le questioni oggetto di esame da parte dell’amministrazione, tenendo conto che eventuali incompatibilità con la qualifica di pubblico impiegato rilevano in quest’ultimo rapporto e non in quello oggetto della presente controversia, verificando la correttezza delle giustificazioni addotte in ricorso sul ritardo nella corresponsione degli stipendi ai dipendenti e verificando la tempestività della attivazione delle procedure di adeguamento alla disposizioni dettate nel 2013, nonché del loro esito”.

Con decreto 5 novembre 2015 n. 8255 è stata confermata la revoca dell’accreditamento già disposta con decreto n. 4363 del 2014. Detto decreto è stato adottato in ottemperanza all’ordinanza n. -OMISSIS-.

Ne deriva che non risultano inottemperanze dell’Amministrazione rispetto alle ordinanze cautelari adottate.

15.10. Così scrutinato il profilo dell’ingiustizia del danno, non riscontrata con riferimento al provvedimento di revoca, il Collegio scrutina la portata causale dei provvedimenti annullati rispetto al danno richiesto, cioè se i provvedimenti annullati abbiano determinato la mancata erogazione dei finanziamenti (evento lesivo) con conseguente danno economico per l’-OMISSIS-.

Inoltre, ad avviso dell’appellante, “se l’Amministrazione regionale non avesse tagliato i finanziamenti, non vi sarebbe stata la revoca dell’accreditamento ed il fallimento dell’Ente”.

In particolare si rileva che l’Ente ha dedotto di essere in attesa (per l’anno 2011) del saldo del finanziamento di € 88.134,22 per attività svolte e già sottoposte a revisione, per l’anno 2012 del saldo finale pari a € 403.908,58, mentre per l’anno 2013, che doveva essere coperto con l’annualità 2012/2013, era già stato autorizzato l’avvio, che non è stato possibile avviare a causa della sospensione dell’accreditamento.

Pertanto per gli anni 2011 e 2012, diversamente che per il periodo successivo, i suddetti importi discendono proprio dalla circostanza che i corsi erano stati svolti.

Detto ciò, il provvedimento interinale di sospensione del 10 febbraio 2014 non può avere prodotto effetti oltre il 6 agosto 2014, data di adozione del provvedimento di revoca n. 4363, posto che il primo è stato comunque sospeso con ordinanza cautelare di questo CGARS 11 luglio 2014 n. 370.

Si tratta quindi di valutare se nel periodo di circa sei mesi nel quale detto provvedimento è rimasto efficace esso ha prodotto l’asserito danno.

Con ordinanza istruttoria n. 375 del 2022 è stato chiesto all’Amministrazione di relazionare circa le motivazioni del blocco dell’erogazione del saldo degli anni 2011 e 2012, in particolare se ciò sia avvenuto a causa del provvedimento di sospensione poi annullato in primo grado e se, al momento dell’adozione dello stesso, fosse in corso di erogazione qualcuno degli acconti a valere sugli anni 2013 e 2014 che siano stati bloccati per effetto del provvedimento di sospensione.

L’Amministrazione, con relazione istruttoria depositata il 26 maggio 2022, ha affermato, in ordine all’erogazione del saldo dell’anno 2011, che:

– i crediti afferiscono ai decreti n. 2116 del 2011 e n. 4907 del 2011;

– riguardano i progetti IF2011B0009, IF2011B0009a, IF2011B0010, IF2011B0010a, IF2011B0011, IF2011B0011a e IF2011B1011 (come da allegato 3 alla relazione);

– la ragione della mancata erogazione sarebbe da individuare nella mancata adozione del provvedimento di chiusura e che “non sussiste relazione alcuna fra la mancata adozione del decreto di chiusura, con la conseguente erogazione del saldo accertato spettante, e la revoca, a suo tempo disposta, dell’accreditamento dell’-OMISSIS-.

L’appellante ha replicato affermando che i provvedimenti annullati, e quindi anche il provvedimento di sospensione, hanno determinato il blocco dei finanziamenti, come espressamente previsto dagli stessi. La prova di tale circostanza sarebbe contenuta nella certificazione emessa dal Commissario ad acta nominato dal Ministero delle Finanze.

Da detta certificazione si evince che, alla data dell’11 febbraio 2015, è dovuto un credito di € 141.785,89, di cui € 78.047,81 da ascrivere ai progetti di cui all’allegato 3 della relazione (quindi afferente all’anno 2011) e che il credito sarà pagato il 21 agosto 2015, data che “non deve essere successiva ai 12 mesi della data della istanza di certificazione”, che dallo stesso documento risulta presentata il 22 agosto 2014.

La nota riguarda i crediti afferenti al saldo dell’anno 2011 (per il quale parte appellante ha quantificato un’omessa erogazione per € 88.134,22), così come descritti nell’allegato 3 della relazione istruttoria presentata dall’Amministrazione, per un importo di € 78.047,81, quindi inferiore a quello indicato nel ricorso in appello. Essa attesta la debenza di detti crediti alla data dell’11 febbraio 2015, in seguito alla presentazione di istanza di certificazione il 22 agosto 2014, e la data in cui saranno erogati.

Ne deriva che non è provato che detto debito fosse dovuto ed esigibile nelle more dell’efficacia del provvedimento di sospensione, atteso che risulta che perfino l’istanza di certificazione (da cui decorre l’annualità entro la quale deve essere effettuato il pagamento, come risulta dalla certificazione prodotta da parte appellante) è successiva (22 agosto 2014) al venir meno degli effetti del provvedimento (circa sei mesi dal 10 febbraio 2014).

Neppure può avere spiegato una portata impeditiva rispetto al pagamento della somma ivi accertata il provvedimento di revoca del 6 agosto 2014 (sulla quale comunque si richiama quanto sopra considerato in punto di ingiustizia del danno), atteso che l’istanza di certificazione risulta presentata appunto il 22 agosto 2014 e la somma dovuta deve essere corrisposta, in base al documento presentato dall’appellante, entro 12 mesi da tale data.

Al riguardo parte appellante ha affermato, con memoria 21 luglio 2022, che la somma, “se erogata a tempo debito, avrebbe evitato la pronuncia di fallimento nei confronti dell’ente”.

Nondimeno il fallimento è stato dichiarato il 20 dicembre 2014 mentre la somma, in base alla certificazione prodotta, doveva essere corrisposta entro il 21 agosto 2015, senza che sia stato provato per quale motivo e in che termini la somma avrebbe dovuto essere corrisposta precedentemente.

Con riferimento al saldo dell’anno 2012 (per il quale parte appellante ha quantificato un’omessa erogazione per € 403.908,58), l’asserito mancato esborso riguarda i progetti 2007.IT.051.PO.003/II/D/F/9.2.1/0172 e 007.IT.051.PO.003/II/D/F/9.2.1/0427.

L’Amministrazione ha allegato entrambi i mandati di pagamento del “saldo costi reali progetto”, datati 16 settembre 2019. Entrambi gli atti, nel preambolo, recano il riferimento alla “nota di determinazione della sovvenzione finale” del marzo 2017, ad altri atti del dicembre 2018, alla richiesta di erogazione presentata dalla curatela fallimentare nel novembre 2018 e alla liquidazione del saldo del dicembre 2018.

Da quanto sopra si desume, innanzitutto, che durante il periodo di efficacia dei provvedimenti impugnati (specificato sopra con riferimento all’atto di sospensione, laddove la revoca, prima disposta e poi confermata, ha prodotto effetti dall’adozione del provvedimento fino all’annullamento disposto con la sentenza gravata, pubblicata il 22 giugno 2018) il procedimento non è stato interrotto in quanto risultano essere stati compiuti atti nel 2017.

Con riferimento ai crediti di cui all’anno 2012 si rileva altresì quanto segue.

Parte appellante, con memoria 21 luglio 2022, ha affermato che “durante tutta la durata del progetto (anni 2012/2013), solo € 184.575,00 su € 516.447,15 sono stati erogati all’ente, malgrado avesse condotto correttamente tutte le operazioni, come successivamente riconosciuto alla Curatela, e malgrado avesse più volte sollecitato il pagamento di quanto dovuto, come si riporta di seguito”. In particolare, “su tale piano formativo, dopo avere ricevuto la prima trance di finanziamento, pari ai € 184.575,00 sopra riportati, pagamento avvenuto nel dicembre 2012, nessun altro finanziamento è stato erogato malgrado le attività siano state regolarmente condotte e concluse, come si desume dalle schede di monitoraggio (all. 2 e 3)”.

Nondimeno non è sufficiente a confermare quanto affermato la documentazione prodotta da parte appellante e, in particolare, gli allegati 2 e 3 alla memoria del 21 luglio 2022 in quanto detti documenti attestano che alla data del 30 giugno 2013 e 31 ottobre 2013 “il progetto è in fase di realizzazione”, mancando quindi la prova della conclusione del medesimo in data antecedente all’adozione dei provvedimenti impugnati, circostanza peraltro presupposta per l’esigibilità del saldo del finanziamento ma non necessariamente attestante il completamento del successivo iter procedurale.

Né sono sufficienti a deporre in senso contrario le istanze di pagamento depositate da parte appellante.

Con nota 25 febbraio 2013 l’Associazione ha prodotto in allegato alla stessa (così dalla nota ma l’allegato non è stato depositato) l’istanza di erogazione del saldo del primo acconto.

Con nota 10 maggio 2013 è stata chiesta “l’erogazione della 2° anticipazione della prima anticipazione” (così nell’oggetto) mentre nel corpo della nota di legge che “facendo seguito alla nota avanzata il 25 febbraio u.s., non avendo ricevuto nessuna comunicazione […] si torna a chiedere l’erogazione della seconda anticipazione della prima erogazione”, con formulazione non coincidente con la precedente nota.

Con nota 12 giugno 2013 è stata chiesta “l’erogazione della 2° anticipazione della prima anticipazione” (così nell’oggetto), chiedendo, nel caso di accertamento di irregolarità contributive, l’attivazione dell’intervento sostitutivo previsto dall’art. 4 del d.P.R. n. 2007 del 2010.

Una ulteriore richiesta, avente il medesimo oggetto (“l’erogazione della 2° anticipazione della prima anticipazione”) è stata formulata con nota 26 giugno 2013, con richiesta di pagamento della somma o di attivazione della compensazione di cui all’art. 4 del d.P.R. n. 207 del 2010.

Sono seguite le note 22 luglio 2013 e 25 ottobre 2013 aventi il medesimo oggetto e il riferimento al pagamento della somma o al riconoscimento della compensazione di cui all’art. 4 del d.P.R. n. 207 del 2010.

Con nota 11 novembre 2013 è stato richiesto l’intervento di cui all’art. 4 del d.P.R. n. 207 del 2010 nell’oggetto, a seguito di richiesta in tal senso dell’Amministrazione.

L’appellante ha poi concluso dichiarando, con memoria 21 luglio 2022, che “solo a seguito di queste ulteriori richieste ed altre sollecitazioni è stata finalmente attivata la procedura più volte richiesta di intervento sostitutivo (nel frattempo erano trascorsi “soltanto” 6 mesi!)”.

Ne deriva che i provvedimenti annullati dal giudice di primo grado, adottati nel 2014, non possono avere avuto incidenza sul ritardo di pagamento di sei mesi verificatosi nel 2013.

Inoltre il ritardo nell’adempimento di un’obbligazione pecuniaria produce danni pari agli accessori maturati sul credito nel periodo di ritardo, avente quindi un impatto potenzialmente assente sulla situazione finanziaria dell’-OMISSIS-, non essendo invece equivalente all’importo del credito, di cui comunque non è attestata la corrispondenza (anche congiuntamente al credito di cui di seguito) rispetto a quella richiesta a titolo di risarcimento danni con riferimento al saldo relativo all’anno 2012, pari a € 403.908,58.

Con nota 25 novembre 2013 è stato richiesto inoltre richiesto dall’-OMISSIS- il saldo del primo acconto.

L’Inps ha inviato, in data 5 dicembre 2013, alla Regione Siciliana una comunicazione indicando modalità e tempi del versamento all’Inps delle somme trattenute dall’Amministrazione regionale per inadempienza contributiva, pari a euro 60.039,54.

L’appellante ha poi dichiarato che il versamento non sarebbe stato effettuato (mentre l’Amministrazione ha prodotto mandati di pagamento del 2019).

Con riferimento a detta ultima circostanza si osserva che detto mancato pagamento riguarda una somma sensibilmente inferiore rispetto a quella richiesta a titolo di risarcimento danni con riferimento al saldo relativo all’anno 2012, pari a € 403.908,58, con conseguente ridotto impatto sulle condizioni finanziarie dell’-OMISSIS-, oltre al fatto che, atteso che la nota dell’Inps è datata dicembre 2013 e che il fallimento è intervenuto alla fine del 2014, il periodo di eventuale rilevanza di detto mancato pagamento si è prolungato per un anno. Rispetto a tale intervallo temporale si deve considerare quali sono le tempistiche di pagamento ordinariamente seguite dall’Amministrazione o che comunque la stessa avrebbe dovuto seguire, tenendo conto che si tratta della corresponsione di una somma ad altra Amministrazione, l’Inps.

A ciò si aggiunge che proprio detta circostanza, cioè il fatto che il credito in esame non sarebbe stato corrisposto direttamente all’-OMISSIS-, comporta che il mancato pagamento può avere avuto riflessi solo indiretti in termini di danni prodotti all’appellante, consistenti nel mancato superamento delle inadempienze contributive, che avrebbero potuto riverberarsi sull’adempimento di obbligazioni successive, senza però che ne siano state né allegate né comprovate le specifiche modalità.

In ogni caso l’Associazione non ha titolo a richiedere danni pari all’importo di detto credito, di cui non sarebbe stata diretta beneficiaria.

Quanto sopra per quanto attiene al saldo relativo all’anno 2012.

Per quanto attiene all’annualità 2013, il riferimento è alle attività di cui ai decreti numeri 5681 e 5709 del 29 novembre 2013, che risultano essere state avviate con comunicazioni inviate in data 2 gennaio 2014.

Rispetto alle attività approvate con i due decreti del 29 novembre 2013 sono stati allegati dall’Amministrazione i provvedimenti di revoca e disimpegno delle somme, nn. 6382 e 6383 dell’11 novembre 2014.

Detti ultimi provvedimenti, indipendentemente dal motivo per il quale sono stati adottati (sul quale quindi non è rilevante stabilire a chi sia imputabile la mancata effettuazione dell’attività che ne costituisce il motivo), non sono stati impugnati e hanno quindi prodotto i relativi effetti.

Pertanto, a prescindere dagli atti annullati dal giudice di primo grado, a partire dal novembre 2014 parte appellante non aveva titolo per svolgere (e quindi ottenere il pagamento) dei progetti approvati con i due decreti del 29 novembre 2013.

Posto quanto sopra non è implausibile che attività avviate nel gennaio 2014 (nelle comunicazioni si dà conto della pubblicazione del bando di selezione degli allievi) siano state concluse e il relativo iter procedurale di pagamento sia stato definito in data non antecedente agli (efficaci) provvedimenti di revoca del novembre 2014.

Ne deriva che i provvedimenti annullati dal giudice di primo grado (sospensione del 10 febbraio 2014 e revoca del 6 agosto 2014) hanno al più potuto produrre effetti sullo svolgimento dell’attività, non sulle entrate dell’-OMISSIS-, con la conseguenza che non risultano provate specifiche conseguenze di ordine finanziario rispetto alla posizione dell’appellante, in quanto, nella fase di svolgimento dell’attività, gli enti sopportano soprattutto spese, tenendo appunto conto che dal novembre 2014 è venuta meno la ragione dell’attività stessa e del relativo pagamento.

Lo stesso è a dirsi con riferimento all’annualità 2014: l’attività che risulta impedita, secondo parte appellante, dai provvedimenti di sospensione e di revoca annullati sarebbe stata nell’immediato foriera di costi per parte appellante, potendo produrre un danno finanziario solo successivamente (e di cui deve essere allegata la natura, non certo equivalente al mancato finanziamento), sempre che fossero portati a compimento le attività svolte entro il termine di efficacia del provvedimento di sospensione, atteso quanto sopra considerato in punto di ingiustizia del danno rispetto al provvedimento di revoca.

15.11. In conclusione non risulta comprovato, neppure a seguito dell’attività istruttoria compiuta da questo Giudice, il nesso di causalità fra i provvedimenti annullati, e più in generale la condotta dell’Amministrazione, e il danno richiesto da parte appellante.

15.12. Da ultimo neppure è fondata la domanda di risarcimento del danno da perdita di chance.

La domanda è fondata sull’illegittimità dei provvedimenti impugnati che avrebbero, in tesi, impedito a parte appellante di mantenere l’accreditamento.

In primo luogo la domanda è infondata in quanto la prospettazione di parte appellante è basata sul fatto che “è assolutamente certo che l’Ente avrebbe potuto continuare a svolgere le attività di formazione professionale anche per gli anni 2013 e 2014”, così venendo a mancare l’elemento caratterizzante l’istituto, cioè la mera possibilità di conseguire un risultato utile.

La risarcibilità della perdita di chance è infatti una figura elaborata al fine di traslare sul versante delle situazioni soggettive, e quindi del danno ingiusto, un problema di causalità incerta: quello cioè delle fattispecie in cui non sia possibile accertare, già in astratto e in termini oggettivi, se un determinato esito vantaggioso (per chi lo invoca) si sarebbe o meno verificato senza l’ingerenza illecita del danneggiante.

E’ il caso delle procedure comparative, quali le procedure ad evidenza pubblica e le procedure concorsuali, nelle quali l’(illegittimo) impedimento a partecipare non rende apprezzabile, in astratto e in termini oggettivi, se sarebbe stato raggiunto l’esito vantaggioso, senza necessità di valutare le chances di raggiungere l’obiettivo in termini concreti, quindi valutando gli specifici elementi che ne condizionano l’ottenimento.

In tali casi vi è un insuperabile impossibilità di conoscere l’esito del procedimento in quanto la partecipazione di più soggetti a una competizione non consente di valutare, qualora un soggetto non vi abbia potuto partecipare, quale sarebbe stato l’esito finale. E ciò, comunque, sul presupposto che avesse titolo per partecipare.

Il vizio che può dar luogo a una responsabilità per perdita di chance consiste nella violazione di una norma di diritto pubblico che, non ricomprendendo nel suo raggio di protezione l’interesse materiale, assicura all’istante soltanto la possibilità di conseguire il bene finale, come è nel caso delle procedure comparative, laddove si distingue l’interesse a partecipare, che può essere leso da un’esclusione illegittima, dall’interesse all’aggiudicazione.

La lesione del primo può determinare una responsabilità per perdita di chance mentre la lesione di una legittima pretesa di aggiudicazione può costituire titolo solo per chiedere il risarcimento del controvalore del risultato sperato.

Nel caso di lesione dell’interesse alla partecipazione il procedimento amministrativo non è in alcun modo ripetibile, neppure virtualmente, come invece resta possibile in caso di attività amministrativa volta all’accertamento del titolo per il mantenimento del bene della vita.

La tecnica risarcitoria della chance presuppone pertanto una situazione di fatto immodificabile, nella quale sia definitivamente preclusa all’interessato la possibilità di conseguire il risultato favorevole cui aspirava e rispetto alla quale risulti nel contempo accertata la sussistenza del titolo a parteciparvi.

Nel caso di specie, invece, difetta l’accertamento dell’ottenimento del risultato finale, il mantenimento dell’accreditamento, ma non in quanto è venuta meno la possibilità di partecipare al procedimento, atteso che questo vede come legittimato principale il destinatario del provvedimento, ma in quanto non risultano superati i motivi di merito che hanno giustificato i provvedimenti di revoca impugnati. Il procedimento è infatti ripetibile.

La posizione dell’appellante nel procedimento de quo, infatti, non vede una disgiunzione fra titolo alla partecipazione e ottenimento del risultato finale nel senso che quest’ultimo non dipende da variabili indipendenti dalla posizione dell’istante, come è nel caso di procedure comparative nelle quali la chance di successo è condizionata dalla condotta degli altri partecipanti. Piuttosto esso dipende dalla sussistenza dei presupposti per il mantenimento del bene della vita in capo al destinatario del provvedimento. Non è quindi la tipologia di procedimento astrattamente inteso a non consentire di conoscerne l’esito ma la specifica valutazione del caso, effettuata in concreto.

Il caso in esame non rientra fra quelli per i quali non si può accertare, con valutazione resa in astratto e in termini oggettivi (come richiesto invece in riferimento al danno per perdita di chance), che un determinato esito vantaggioso (per chi lo invoca) si sarebbe o meno verificato senza l’ingerenza illecita del danneggiante.

Non si ravvisano pertanto i presupposti per la risarcibilità per perdita di chance.

16.In ragione di quanto sopra la domanda risarcitoria deve quindi essere respinta, con conseguente conferma della sentenza impugnata.

La peculiarità della vicenda nel suo insieme e la particolarità delle questioni giuridiche giustificano la compensazione delle spese del presente grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, in sede giurisdizionale, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge, confermando, per l’effetto, la sentenza impugnata.

Spese del presente grado di giudizio compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare parte appellante.

Così deciso in Palermo nella camera di consiglio del giorno 21 settembre 2022 con l’intervento dei magistrati:

Rosanna De Nictolis, Presidente

Solveig Cogliani, Consigliere

Sara Raffaella Molinaro, Consigliere, Estensore

Antonino Caleca, Consigliere

Marco Mazzamuto, Consigliere

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.