Corte dei conti (sentenze), Riparto di giurisdizione _ Sentenze

SENT. N. 196/22

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE DEI CONTI

SEZIONE GIURISDIZIONALE

PER LA REGIONE PIEMONTE

nella persona del Giudice Monocratico delle Pensioni

Cons. Alessandra Olessina

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio iscritto al n. 23054 del registro di segreteria, sul ricorso promosso da:

-B.L., cod. fisc. omissis, nata a omissis, il omissis, residente in omissis, Via omissis, rappresentata e difesa, in forza di procura in calce al ricorso, dagli Avv. _____ del Foro di _____ e _____ del Foro di _____, ed elettivamente domiciliata presso lo Studio del primo, sito in _____, PEC: _____

CONTRO

-la Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona del Presidente pro tempore (Avvocatura Distrettuale dello Stato)

AVENTE AD OGGETTO

L’accertamento del diritto della ricorrente ai benefici economici previsti dall’art. 6 bis D.L. n. 387/1987 e cioè del diritto all’attribuzione di sei aumenti periodici in aggiunta alla base pensionabile, calcolati all’atto della cessazione dal servizio, con ogni conseguente diritto contributivo e previdenziale, ivi compresa la buonuscita, l’adeguamento pensionistico e l’incremento del TFS, e con il conseguente obbligo dell’Amministrazione di provvedere alla rideterminazione del complessivo trattamento riconosciuto.

ESAMINATI gli atti e documenti di causa;

VISTO il Codice di Giustizia Contabile;

SENTITO, all’udienza del 23 giugno 2022, l’Avv. di parte ricorrente, nessuno presente per parte resistente, come da verbale.

FATTO

Dagli atti del giudizio si desume che la ricorrente è stata in servizio negli omissis dal 19 novembre 1996 al 2 maggio 2006, data in cui è stata collocata a riposo a domanda.

La ricorrente, con il presente ricorso, chiede l’accertamento del proprio diritto ai benefici economici previsti dall’art. 6 bis D.L. n. 387/1987 e cioè del diritto all’attribuzione di sei aumenti periodici in aggiunta alla base pensionabile, calcolati all’atto della cessazione dal servizio, con ogni conseguente diritto contributivo e previdenziale, ivi compresa la buonuscita, l’adeguamento pensionistico e l’incremento del TFS, e con il conseguente obbligo dell’Amministrazione di provvedere alla rideterminazione del complessivo trattamento riconosciuto.

La ricorrente fa altresì richiesta di sollevare questione di legittimità costituzionale delle norme di cui all’art. 6 bis del D.L. n. 387/1987 con riferimento agli artt. 3, 24 e 111 Cost.

Il presente ricorso è stato preceduto da diffida regolarmente notificata, con la quale la ricorrente ha chiesto all’odierna resistente di riconoscere l’applicazione della disciplina sopra indicata, con conseguente attribuzione di un differente calcolo del trattamento pensionistico, richiesta a cui la Presidenza del Consiglio e l’INPS hanno risposto negativamente.

La Presidenza del Consiglio dei Ministri si è costituita in giudizio con memoria in data 9 maggio 2022, eccependo il difetto di giurisdizione della Corte dei conti in favore del Giudice amministrativo con riferimento al petitum relativo alla rideterminazione dell’indennità di buonuscita e chiedendo, per il resto, di respingere il ricorso in quanto infondato nel merito.

Parte resistente ha, in particolare, evidenziato: che la disciplina normativa applicabile ratione temporis alla ricorrente non le attribuiva alcun diritto all’applicazione dei sei aumenti periodici di stipendio né rispetto alla quantificazione del trattamento di quiescenza, né rispetto al calcolo dell’indennità di buonuscita; che l’art. 6 bis del D.L. n. 387/1987 è disposizione applicabile al personale della Polizia di Stato e non già al personale civile e che, nel caso di specie, la ricorrente è entrata in servizio presso gli omissis proveniente dal ruolo del personale civile dell’Amministrazione dell’Interno ed è stata assunta al omissis (oggi omissis); che il medesimo art. 6 bis non è applicabile retroattivamente; che il beneficio in questione è stato previsto esclusivamente per il personale che cessa dal servizio per limiti di età, decesso, dispensa e inabilità permanente e non già anche per il personale che cessa dal servizio a domanda come la ricorrente; che l’attribuzione dei prescritti benefici economici è soggetta al regime della prescrizione quinquennale di cui all’art. 20 D.P.R. n. 1032/1973 e all’art. 2 R.D.L. n. 295/1939 come sostituito dall’art. 2, co. 3, L. n. 428/1985.

Con memoria in data 9 giugno 2022 la difesa della ricorrente ha ribadito la sussistenza della giurisdizione della Corte dei conti, evidenziando che la questione oggetto del ricorso è più ampia rispetto alla cognizione del Giudice Amministrativo che è invece limitata ad alcune voci specifiche del trattamento economico antecedenti alla formazione del trattamento pensionistico; ha evidenziato che il omissis deve farsi rientrare nel comparto sicurezza e difesa, al quale è applicabile il beneficio dei sei scatti stipendiali, in quanto comparto formato principalmente da unità che hanno iniziato la propria carriera nelle Forze di Polizia o nelle Forze Armate; in merito alla prescrizione, ha osservato che, nel caso di specie, non è mai decorso il relativo termine, perché la ricorrente non ha mai potuto esercitare il diritto a causa dell’assenza di una specifica disciplina di riconoscimento del beneficio.

All’udienza del 23 giugno 2022, nessuno presente per parte resistente, la difesa della ricorrente ha sostanzialmente richiamato il contenuto e le conclusioni degli atti depositati in giudizio.

Alla camera di consiglio a seguito dell’udienza del 23 giugno 2022, la causa è stata decisa ed è stata data lettura del dispositivo ai sensi dell’art. 167 c.g.c.

DIRITTO

In via pregiudiziale deve essere esaminata l’eccezione di giurisdizione sollevata dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri con riferimento alla richiesta di accertamento del diritto all’attribuzione dei sei aumenti periodici ai fini della rideterminazione della buonuscita.

L’eccezione è fondata e deve essere accolta, con conseguente affermazione della giurisdizione del Giudice amministrativo, trattandosi di questione che esula dalla materia pensionistica devoluta alla giurisdizione di questa Corte.

Come è noto, l’art. 1, comma 2, c.g.c. dispone che “sono devoluti alla giurisdizione della Corte dei conti i giudizi in materia pensionistica”. Ai sensi dell’art. 62, R.D. n. 1214/1934, la Corte, specificamente, ha giurisdizione sui ricorsi in materia di pensioni a carico totale o parziale dello Stato (comma 1) e su quelli che le sono attribuiti da leggi speciali (comma 2).

Secondo la consolidata giurisprudenza (cfr., ex multis, Cass. SS.UU., sent. n. 11849/2016), nell’ambito dei ricorsi in materia di pensioni a carico totale o parziale dello Stato, la giurisdizione contabile è esclusiva e comprende tutte le controversie funzionali alla pensione e concernenti la sussistenza del diritto, la misura e la decorrenza della pensione stessa. Pertanto, oltre alle questioni relative al sorgere e modificarsi del diritto alla pensione, la giurisdizione contabile riguarda anche i problemi connessi, quali il riscatto di periodi di servizio, la ricongiunzione di periodi assicurativi, gli assegni accessori, gli interessi e la rivalutazione, il recupero di somme indebitamente erogate. In particolare, “la giurisdizione della … Corte dei Conti in materia di pensioni attiene al contenuto dei provvedimenti che concedono, rifiutano o riducono la pensione, ledendo il diritto dell’ex dipendente in ordine all’an ed al quantum di essa, ed ha quindi per oggetto ogni questione relativa agli elementi formativi del diritto alla pensione e alle condizioni che determinano il diritto stesso in relazione all’ammontare dell’assegno pensionistico, ivi comprese le questioni in ordine agli emolumenti integrativi e agli assegni accessori, ancorché la decisione sulla pensionabilità di uno di detti assegni, percepiti in attività di servizio, implichi un’indagine sul contenuto degli atti amministrativi attributivi dell’assegno medesimo, non influendo tale indagine sul pregresso rapporto di pubblico impiego …, ma solo sul trattamento pensionistico” (Cass. SS.UU., sent. n. 10131/2012).

La giurisprudenza è altrettanto consolidata nel ritenere che “rimangono fuori da questo ambito le controversie che non concernono il trattamento pensionistico, bensì il trattamento di fine rapporto, quale che sia la sua declinazione: indennità premio di servizio, indennità di buonuscita, TFR”, non trattandosi di questioni funzionali al trattamento pensionistico (Cass. civ. SS.UU., sent. n. 11849/2016 e giurisprudenza ivi richiamata). Ne consegue dunque che le controversie “attinenti alla misura dell’indennità di buonuscita, poiché non afferenti al rapporto pensionistico, appartengono alla giurisdizione del giudice del rapporto di lavoro”.

Tale giudice, per il personale in questione, è individuato nel Giudice amministrativo, in applicazione delle disposizioni di cui all’art. 22, L. n. 124/2007, nonché all’art. 135, comma 1, lett. o), D.lgs. n. 104/2010.

Deve pertanto essere accolta l’eccezione di difetto di giurisdizione, con riguardo alle richieste relative alla buonuscita, sollevata dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri.

Per quanto riguarda la questione di legittimità costituzionale sollevata da parte ricorrente, si ritiene che essa sia manifestamente infondata.

In particolare, in relazione all’asserita violazione del principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost, sotto il profilo dell’obbligo di trattare in modo uniforme situazioni omogenee (valutazione dell’anzianità per intero, similmente a quanto accade per tutti gli altri dipendenti pubblici), si osserva che, nel caso di specie, il raffronto è operato nei riguardi di categorie solo apparentemente similari, ma sostanzialmente disomogenee e funzionalmente ben differenziate.

Come noto, infatti, vi è violazione dell’art. 3 Cost. quando situazioni sostanzialmente identiche sono disciplinate in modo ingiustificatamente diverso, mentre non si manifesta tale contrasto quando alla diversità di disciplina corrispondono situazioni non sostanzialmente identiche, come nel caso di specie (cfr. in tal senso anche Sez. giurisdiz. Puglia n. 416/2011 e Sez. giurisdiz. Abruzzo n. 46/2022; su come la peculiarità del rapporto di lavoro negli omissis non possa dar luogo ad alcuna questione della specie cfr. anche C.d.S., Sez. IV, n. 7099/2004 e 3331/2016; cfr. altresì Corte cost. nn. 178 e 126 del 2000, 376/2001, 121/2003, 216/2015, 342/2006, secondo cui “di per sé non può contrastare con il principio di eguaglianza un differenziato trattamento applicato alla stessa categoria di soggetti ma in momenti diversi nel tempo, perché lo stesso fluire di questo costituisce un elemento diversificatore delle situazioni giuridiche”).

Passando al merito, il ricorso deve essere respinto, in quanto infondato, per le seguenti considerazioni.

Innanzi tutto, alla data di collocamento a riposo della ricorrente (2 maggio 2006) la disciplina relativa alla determinazione del trattamento di quiescenza era contenuta nel DPCM n. 8/1980, regolamento emanato in virtù di delega contenuta nella L. n. 801/1977, il cui art. 56 non contemplava l’istituto dell’applicazione dei sei aumenti periodici di stipendio per la determinazione del relativo ammontare.

Successivamente, per effetto dell’approvazione della L. n. 124/2007 e della relativa delega contenuta nell’art. 21, è stato adottato il DPCM n. 1/2008, successivamente abrogato dal DPCM n. 1/2011, che, nella sua attuale formulazione, reca il Regolamento sullo stato giuridico ed economico del personale degli Organismi di Informazione per la Sicurezza.

In particolare, l’art. 118, comma 1, del DPCM n. 1/2011, a seguito delle modifiche introdotte dall’art. 16, comma 1, lett. b), del DPCM n. 1/2020, ha introdotto il beneficio in questione.

La disposizione, per effetto dell’art. 20, comma 5, del medesimo Regolamento, è entrata in vigore dal 1° gennaio 2020, né può ipotizzarsi un’efficacia retroattiva della stessa, in virtù del principio generale dell’ordinamento giuridico dell’irretroattività della legge sancito dall’art. 11 delle preleggi (cfr. in tal senso anche: Corte dei conti, Sez. II app. n. 26/2014, Sez. I app. n. 7/2011, Sez. III app. nn. 332 e 333 del 2003, SS. RR. n. 4/2001).

Conseguentemente, tale disciplina non è applicabile al personale collocato in quiescenza prima del 2020 e quindi non è applicabile alla ricorrente.

Si aggiunge che il beneficio dell’applicazione dei sei scatti è stato previsto, come si evince dalla lettera della disposizione, esclusivamente per il personale che cessa dal servizio per limiti di età, decesso, dispensa e inabilità permanente, e non già per il personale che cessa dal servizio a domanda, così come invece accaduto per l’odierna ricorrente.

Deve altresì osservarsi che, come emerge dallo stato matricolare, la ricorrente è entrata in servizio presso gli omissis proveniente dal ruolo del personale civile dell’Amministrazione dell’Interno ed è stata assunta al omissis (oggi omissis); non ha mai assunto la qualifica di ufficiale o agente di pubblica sicurezza e non è entrata a far parte del omissis.

Peraltro, il personale trasferito presso gli Organismi non solo non conserva lo status originario, ma perde qualsiasi legame con l’amministrazione di appartenenza, così come previsto dall’art. 2 DPCM n. 7/1980 emanato in virtù di delega contenuta nella L. n. 801/1977 (cfr. anche, in tal senso, in particolare, C.d.S. Sez. I n. 1878/94).

Del resto, la specialità e l’unicità del rapporto di lavoro alle dipendenze degli omissis e conseguentemente l’impossibilità di sussumere lo stesso in qualsiasi categoria di rapporto di pubblico impiego, ivi compreso il Comparto Sicurezza e Difesa, è stata affermata da consolidata giurisprudenza, secondo cui si rientra in un settore che rappresenta il massimo di specialità nell’ambito del rapporto di pubblico impiego, connotato dal regime di eccezionalità e di deroghe rispetto alla disciplina generale del pubblico impiego, autonoma rispetto a quella generale dei dipendenti della P.A. (cfr. in tal senso: C.d.S. n. 8104/2019, C.d.S. Sez. IV n. 5411/2011).

Alla luce delle sopra esposte considerazioni, si ritiene che la disciplina di cui all’art. 6 bis del D.L. n. 387/1987 non sia applicabile alla fattispecie della ricorrente, e che, conseguentemente, i correlati benefici economici non siano ad essa riconoscibili. Assorbita ogni ulteriore questione.

Ai sensi dell’art. 31 comma 1, c.g.c., alla soccombenza segue la condanna alle spese del presente giudizio, che si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

Definitivamente pronunciando dichiara il difetto di giurisdizione della Corte dei conti in favore del Giudice amministrativo sulla domanda di accertamento del diritto all’attribuzione di sei aumenti periodici ai fini della buonuscita; respinge per il resto il ricorso. Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese di lite a favore di parte resistente liquidate in euro 1.000,00 (mille/00).

Ai sensi dell’art. 52 D. Lgs. n. 196/2003 va disposta, per il caso di diffusione della presente sentenza, l’annotazione relativa all’omissione delle generalità e dei dati identificativi del ricorrente, nonché di altre persone fisiche eventualmente citate.

Manda alla Segreteria per le comunicazioni di competenza.

Così deciso in Torino, il 23 giugno 2022.

IL GIUDICE MONOCRATICO

Alessandra Olessina

Depositata in Segreteria il 07 settembre 2022