Corte dei conti (sentenze) _ Sentenze

Sentenza n. 124/2022

R E P U B B L I C A I T A L I A N A

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA REGIONE CALABRIA

Composta dai seguenti magistrati:

Luigi Cirillo Presidente

Natale Longo Consigliere

Guido Tarantelli Giudice relatore

S E N T E N Z A

Nel giudizio ad istanza di parte iscritto al n. 23125 del registro di Segreteria, promosso da:
– B. I., nata ad omissis l’omissis, C.F. omissis, residente in omissis alla omissis, in qualità di coniuge successore di M. F. P., n. a omissis il omissis omissis deceduto in omissis il omissis, elettivamente domiciliata presso lo studio dell’avv. _____ (c.f. _____) che la rappresenta e difende giusta procura in calce al ricorso e che dichiara di voler ricevere le comunicazioni a mezzo la seguente p.e.c. _____;

-ricorrente-

contro

– Agenzia delle Entrate (C.F. 06363391001) in persona del l.r.p.t., rappresentata e difesa dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di _____, (C.F. ADS80004580793), presso i cui uffici in _____, è legalmente domicilia, pec: _____

-resistente-

– esaminati gli atti e i documenti di causa;

– nella pubblica udienza dell’8 febbraio 2022, data per letta la relazione sul consenso delle parti e uditi per l’ufficio del Pubblico Ministero il S.P.G. dott. Di Pietro Giovanni, per la parte ricorrente il difensore costituito _____, per la parte convenuta l’Avvocatura dello Stato in persona dell’Avvocato _____.

FATTO

1. Con ricorso depositato in data 8.11.2021 la signora B. I., in qualità di coniuge successore di M. F. P., riassumeva dinanzi la Corte dei conti il giudizio nei confronti dell’Agenzia delle Entrate, Direzione Regionale _____ – precedente incardinato presso il Tribunale ordinario di _____e concluso con sentenza del 29.09.2021 n. 1432/2021, che dichiarava il proprio difetto di giurisdizione in favore della Corte dei conti – chiedendo, previa adozione del provvedimento di estensione del contraddittorio anche nei confronti di Cassa Depositi e Prestiti e Intendenza di Finanza ex art. 83, comma 2, c.g.c., che l’adita Corte “1)- accerti e dichiari il credito di M. F. P. nei confronti di Agenzia delle Entrate, soggetto passivo tenuto al pagamento delle somme dovutegli e riconosciutegli in qualità di esattore della G. s.p.a.; 2)- Per l’effetto, condanni la resistente Agenzia delle Entrate ad attingere le somme dovute presso la Cassa Depositi e Prestiti e a versarle in favore della signora B. I., in qualità di coniuge superstite di M. F. P. e sua unica erede, per la somma di € 1.305.396,91 di cui € 603.319,63 a titolo di sorte capitale ed € 702.077,28 a titolo di interessi legali (cfr. all. n. 28) a decorrere dal 31.12.1989 sino alla domanda ed oltre a interessi decorrendi sino al soddisfo; 3)- Con vittoria di spese e competenze del giudizio”.

A sostegno della propria domanda la ricorrente, riportando il contenuto della citazione dinanzi al G.O., rappresentava di essere unico successore ex lege di M. F. P., già funzionario esattoriale, titolare delle sedi di omissis , omissis , omissis , omissis , omissis , omissis e omissis , sino alla data di cessazione dal servizio, avvenuta in data 31.12.1989 e che, in tale veste, il dante causa aveva provveduto ad anticipare in conto proprio alla G. s.p.a. (società di riscossione) i corrispettivi di imposta non riscossi “in ragione del comb. Disp. di cui all’art 116 e segg. D.P.R. 48/88 e del D.M. 6716 del 05.12.1989”; somme contabilizzate attraverso i cc.dd. “elenchi-reste” o “elenchi residui di gestione” a G. s.p.a. (dichiarata decaduta e alla quale era poi subentrata la G.E.T. s.p.a.), per i successivi adempimenti di liquidazione.
La ricorrente, richiamando la disciplina della gestione del “non riscosso come riscosso” di cui al D.P.R. 43/1988, affermava il corretto iter seguito dal proprio dante causa, il quale, seppur aveva presentato gli elenchi al concessionario G. senza che gli venisse mossa alcuna osservazione, tuttavia non aveva ricevuto il pagamento di quanto spettante.

Riferiva inoltre la ricorrente che con raccomandata del 16.12.1996 la Direzione Regionale delle Entrate per la _____ aveva comunicato all’interessato – in mancanza di invio degli elenchi dei residui di gestione dalla G. alla subentrante GET – di aver redatto d’ufficio la compilazione degli stessi al fine di provvedere ai successivi adempimenti, quantificando il credito di M. in un importo (allora in lire) pari a odierni € 821.513,09, poi rettificato in € 603.319,63 e che, alle numerose richieste di pagamento, veniva dato riscontro rappresentando che “l’ufficio è a tutt’oggi impegnato a rendicontare i residui di gestione di tutti gli ex esattori ai fini del relativo riparto”.

Nella prospettazione della ricorrente, dunque, risulterebbe indubbio il riconoscimento del credito da parte del Ministero delle Finanze, nella nota del 02.03.1999 prot. n. IV/8/3832/99, per lire 1.168.195.741 pari ad euro 603.319,63, la debenza dei relativi interessi, quantificati in euro 700.059,05, nonché la legittimazione passiva dell’Agenzia dell’Entrate in ragione della disponibilità (con deposito presso la Cassa Depositi e Prestiti) delle somme di pertinenza degli ex esattori, riconosciuta più volte nelle note inviate.

Inoltre, sebbene la G. non avesse provveduto ad inviare gli elenchi di gestione, elemento questo addotto come preclusivo per la liquidazione delle somme, tuttavia secondo la ricorrente “tale incombenza era stata d’ufficio evasa dal Ministero delle Finanze- Direzione Regionale delle Entrate che con nota del 16.12.1996 prot. IV/8/7913/96/8 aveva trasmesso gli elenchi al M. (cfr. all. n. 8) e successivamente aveva quantificato la somma con nota del 02.03.99 (cfr. all. n. 11)”, atteso che proprio la nota del 02.03.99 costituirebbe espresso riconoscimento del debito e, dunque, atto idoneo ad interrompere la prescrizione nei confronti di tutti i creditori solidali.

Per tali ragioni la ricorrente adiva dapprima il Giudice ordinario per la condanna dell’Agenzia delle Entrate al pagamento di quanto dovuto (pari ad €. 603.319,63 oltre interessi per €. 702.077,28, per un totale di €. 1.305.396,91) in forza del principio “non riscosso per riscosso” e a seguito del dichiarato difetto di giurisdizione (visto che gli accertamenti richiesti “riguardano importi il cui acclaramento richiederebbe un esame globale della gestione contabile, ovvero verifiche contabili e giuridiche che implicano un giudizio di conto, ovvero una vertenza di natura contabile”) riassumeva tempestivamente il giudizio dinanzi l’intestata Corte, concludendo nei termini sopra esposti e chiedendo l’integrazione del contraddittorio nei confronti di Cassa Depositi e Prestiti e Intendenza di finanza (“qualora l’Ecc.ma Corte ravveda la necessità di partecipazione al procedimento”), nonché, in via istruttoria, l’acquisizione della documentazione ex art. 94 c.g.c., oltre richiesta di ammissione ad interrogatorio non formale e CTU.

2. Con decreto presidenziale del 9.11.2021 veniva fissata l’udienza per la discussione il giorno 8.2.2022, ritualmente notificato alla resistente in data 7.12.2021.

3. In data 5 gennaio 2022 si costituiva in giudizio l’Agenzia delle Entrate con l’Avvocatura Distrettuale dello Stato eccependo, in via preliminare, il difetto di legittimazione passiva, poiché a differenza della prospettazione della ricorrente “le somme depositate presso la Cassa Depositi e Prestiti sono somme di cui l’Agenzia delle Entrate non ha la titolarità, trattandosi di una provvista a finalità direttamente vincolata dalla legge nella disponibilità del Ministero dell’Economia e delle Finanze ai sensi dell’art. 5 D.L. n. 269/2003, convertito dalla legge n. 326/2003”. L’Agenzia eccepiva poi l’inammissibilità della domanda di integrazione del contraddittorio, non risultando alcun litisconsorzio necessario tra Agenzia delle Entrate e Cassa Depositi e Prestiti e, nel merito, l’infondatezza della richiesta per inesistenza del diritto azionato, rilevando, inoltre, che “che il Sig. M., al pari di altri ex esattori, si è insinuato al passivo del fallimento G., concessionario subentrato nella riscossione, per € 83.196,43, ma il giudice delegato non ha ammesso il credito in quanto non documentato (all. 4 n. ordine 74)”.

Sempre nel merito, l’Agenzia contestava l’avvenuta anticipazione delle somme da parte dell’ex esattore, sul quale incombeva fornire la prova degli avvenuti versamenti in base all’obbligo del non riscosso come riscosso, non risultando neanche esperiti da parte del sig. M. gli adempimenti presupposto per il diritto al rimborso; osservava inoltre che i concessionari subentrati nella riscossione non avevano presentato il conto giudiziale rendendo impossibile delineare il quantum del rapporto credito-debito tra ente impositore ed esattore o concessionario e, di conseguenza, stabilire se vi sia stata l’anticipazione delle somme in virtù dell’obbligo del non riscosso per riscosso.

Aggiungeva l’Agenzia, inoltre, che rispetto alla mancata presentazione del conto giudiziale da parte dei concessionari subentrati, la Corte dei conti aveva accertato l’impossibilità per G. S.p.a. di presentare il conto giudiziale, con la sentenza n. 809/2006, dichiarando l’improcedibilità del giudizio per resa di conto.

Quanto all’eccepito riconoscimento del debito, l’Agenzia contestava tale qualificazione alla nota dell’Amministrazione del 2 marzo 1999 “difettando dei requisiti dell’inequivocità della dichiarazione e della titolarità passiva del rapporto da parte del dichiarante” (richiamando la sentenza della Corte dei conti 413/2019, che ha escluso il valore di riconoscimento del debito alla nota con cui l’Agenzia delle entrate comunicava le giacenze sui depositi intestati alla G. S.p.a.) e rappresentava che la nota del 1999 al pari di quelle del 1996 costituivano attività dovuta a causa della mancata consegna degli elenchi dei residui di gestione da parte degli ex esattori, a seguito del provvedimento di decadenza dalla concessione della G.; inoltre eccepiva l’assenza della titolarità passiva del rapporto ai fini del riconoscimento.

In subordine, l’Agenzia contestava la non debenza degli interessi (ai sensi dell’art. 44, comma 5, del DPR n. 43/1988) e il quantum richiesto, da limitare, in caso di accoglimento della domanda, agli importi per i quali l’esattore dimostri di aver effettuato le anticipazioni, di aver chiesto il rimborso delle somme non riscosse e gli sgravi provvisori e di aver esperito le procedure esecutive richieste dall’art. 75 DPR n. 43/1988 ai fini del riconoscimento dell’inesigibilità.

Infine, la resistente si opponeva alle richieste istruttorie eccependo l’inammissibilità dell’interrogatorio formale e la consulenza tecnica di ufficio, non potendo questa derogare al principio dispositivo delle fonti di prova.

Concludeva l’Agenzia delle Entrate, pertanto, chiedendo in via preliminare, dichiarare il proprio difetto di legittimazione passiva e nel merito rigettare integralmente il ricorso in quanto infondato in fatto ed in diritto e in subordine ridurre il quantum richiesto, poiché erroneo e sfornito di prova, rigettando in ogni caso la richiesta di pagamento degli interessi legali; con vittoria di competenze e spese di giudizio.
4. In data 17 gennaio 2022 la Procura Regionale depositava le proprie conclusioni, nelle quali eccepiva la mancata prova in giudizio dei versamenti effettuati in base all’obbligo del non riscosso come riscosso e la circostanza che la mancata presentazione del conto giudiziale da parte del concessionario subentrato nella riscossione non consentirebbe di accertare il rapporto debito-credito tra ente impositore ed esattore, mancando così lo strumento probatorio in grado di comprovare la sussistenza di una correlazione tra i residui di gestione e l’esecuzione dei versamenti.

Veniva inoltre richiamata la precedente declaratoria di improcedibilità del giudizio per la resa del conto nei confronti della G. s.p.a. sul presupposto che non erano stati rinvenuti i decreti attestanti il passaggio dei residui dei ruoli ricevuti in carico dai cessati esattori non riscossi alla data del 31.12.1989 e successivamente consegnati per la riscossione al concessionario subentrante.

Inoltre, la Procura contestava l’esistenza di un riconoscimento del debito da parte dell’Agenzia delle Entrate rispetto al credito vantato dall’ex esattore, poiché l’Agenzia non poteva vantare alcun diritto sulle somme vincolate per finalità stabilite dalla legge, mentre le attestazioni rese avevano la sola funzione di certificare la situazione oggettiva relativa ai rapporti di dare e avere tra l’ex esattore ed il concessionario.

Infine, la Procura contestava le richieste istruttorie in quanto preordinate a supplire alle carenze documentali e probatorie
dell’azione proposta e concludeva per il rigetto della domanda del ricorrente.

5. All’udienza dell’8.2.2022 l’Avvocato _____, per la ricorrente, contestava le eccezioni dell’Agenzia delle Entrate ed insisteva – previo accoglimento della richiesta di estensione del contraddittorio nei confronti di Cassa Depositi e Prestiti e delle richieste istruttorie – nell’accoglimento del ricorso.

L’Avvocato _____ si riportava al contenuto della memoria, insistendo nell’accoglimento delle difese svolte e si opponeva alla richiesta di integrazione del contraddittorio, rappresentando il difetto di legittimazione passiva dell’Agenzia delle Entrate che non ha la titolarità e la disponibilità dei beni, trattandosi di provvista a destinazione vincolata.

L’Avvocatura distrettuale dello Stato si opponeva, inoltre, alle altre richieste istruttorie in quanto suppletive di una carenza ravvisabile nel ricorso, non avendo il ricorrente fornito la prova in ordine alla sua fondatezza, nonché all’interrogatorio libero dei funzionari in quanto il riconoscimento del debito richiede la forma scritta e nel merito si riportava al contenuto della memoria.

Il Pubblico Ministero, rilevando l’assenza dei presupposti per la richiesta di integrazione del contraddittorio, sulla base dell’art. 83 c.g.c. e il difetto probatorio della richiesta del ricorrente, concludeva riportandosi alle note depositate e chiedendo il rigetto di tutte le domande proposte.

L’Avvocato _____ – su richiesta di chiarimento – precisava che per concessionario legittimato passivamente all’azione deve intendersi il concessionario subentrante all’ex esattore e che è onere del concessionario subentrato provvedere alle riscossioni delle singole gestioni da depositare un rendiconto separato e che il mancato assolvimento dell’onere della prova attiene all’anticipazione delle somme in virtù del principio del non riscosso per riscosso.

La causa veniva trattenuta in decisione.

DIRITTO

6. In via preliminare, ritenuta sussistere la giurisdizione contabile rispetto alla domanda oggetto di ricorso come correttamente indicato nella sentenza n. 1432/2021 del Tribunale di _____, la richiesta formulata al Collegio di disporre l’integrazione del contraddittorio è infondata e va respinta.

Infatti, l’art. 83, comma 2, c.g.c. – invocato dalla ricorrente – è una norma che trova la sua allocazione naturale nel giudizio di responsabilità, risultando preordinata (per la fase processuale) alla salvaguardia del principio di parziarietà (sostanziale) che caratterizza la responsabilità amministrativa ai sensi dell’art. 1, comma 1 quater, della L. 20/1994; tale disposizione, peraltro, deve essere letto in continuità con il primo comma che preclude la possibilità di chiamata in causa del terzo da parte del giudice, nei giudizi contabili con pluralità di parti.

Preclusione che risulta limitata dal legislatore al solo giudizio di responsabilità amministrativa.

Proprio con riferimento al comma 2 (disposizione tesa ad accordare anche al terzo chiamato in giudizio le stesse garanzie preprocessuali del convenuto) il codice di giustizia contabile – ante “correttivo” del 2019 – pur precludendo la chiamata in causa iussu iudicis ex art. 107 c.p.c., prevedeva comunque l’integrazione del contraddittorio nell’ipotesi di litisconsorzio necessario; previsione poi soppressa dal “correttivo” del 2019 (art. 44, comma 1, lett. c) del D.Lgs. 114/2019) nella riformulazione dell’art. 83, comma 2, c.g.c.

Rispetto al quadro normativo così modificato la preclusione di integrazione del contraddittorio resta limitata, in ogni caso, al solo giudizio di responsabilità amministrativa, vista la difficoltà di configurare ipotesi di rapporto sostanzialmente unitario in tali fattispecie, connotate dalla parziarietà della obbligazione risarcitoria, come emerge sia dalla lettera dell’art. 83, comma 2, sia dalla relazione ministeriale al “correttivo” e, dunque, non trova applicazione nei giudizi diversi, quale quello ad istanza di parte, neppure per relationem ex art. 176 c.g.c. (cfr. in termini Sez. Giur. Calabria, sent. n. 213/2021).

Pertanto, al di fuori del giudizio di responsabilità amministrativa, teso ad una condanna, il codice di giustizia contabile non preclude astrattamente l’applicazione della regola dell’art. 102 c.p.c. (ordine del giudice di integrazione del contraddittorio nei casi di litisconsorzio necessario), risultando tale norma espressione di un principio generale ispirato alla logica della ragionevole durata del processo, ed estensibile al processo innanzi alla Corte dei conti per il rinvio operato dall’art. 7, comma 2, del D.lgs. n. 174/2016. Viceversa, per il litisconsorzio facoltativo (intervento volontario o iussu iudicis) vige un principio di tassatività, potendo essere ammesso solo nei casi espressamente previsti dal legislatore (artt. 85, 160, 160 bis c.g.c.).

Ciò premesso, si rappresenta che nel giudizio in esame non si ravvisa alcun litisconsorzio necessario, presupposto per l’integrazione del contraddittorio ex art.102 c.p.c..

Infatti, la fattispecie del litisconsorzio necessario ricorre in presenza di rapporti unitari, tali che la pronunzia debba essere resa necessariamente nei confronti di tutti i titolari; il che non avviene in presenza di mere obbligazioni a contenuto patrimoniale, per le quali è onere del creditore individuare nella domanda il legittimato passivo all’azione in senso sostanziale (ovvero il debitore) pena il rigetto della pretesa.

Nella concreta fattispecie, con l’atto introduttivo del giudizio ad istanza di parte la ricorrente ha richiesto l’accertamento del diritto di credito e la relativa condanna al pagamento di quanto asseritamente dovuto esclusivamente nei confronti dell’Agenzia delle Entrate, chiamata “ad attingere le somme dovute presso la Cassa Depositi e Prestiti”.

Nella stessa domanda, pertanto, è la ricorrente che identifica l’unico titolare passivo del rapporto obbligatorio creditizio – oggetto del ricorso – nell’Agenzia delle Entrate, mentre la Cassa Depositi e Prestiti viene indicata esclusivamente quale detentore depositario delle somme e, dunque, soggetto estraneo al rapporto sostanziale.

In questi termini la Cassa Depositi e Prestiti non può essere identificata quale litisconsorte necessario, atteso che l’esito del giudizio è destinato a produrre i suoi effetti nei confronti all’Agenzia delle Entrate (e a somme di denaro solo ad essa riferibili).

Parimenti per quanto attiene alla richiesta di integrazione del contraddittorio nei confronti dell’Intendenza di finanza, si richiama la circostanza che queste risultano soppresse dall’art. 75, comma 2, del D.P.R. del 27 marzo 1992, n. 287, conseguentemente all’attivazione delle Direzioni regionali delle Entrate, a cui furono trasferite parte delle funzioni delle intendenze di finanza, come di seguito evidenziato.

7. Sempre in via preliminare, in coerenza e continuità logica con quanto indicato al punto che precede, va rigettata l’eccezione del difetto di legittimazione passiva dell’Agenzia delle Entrate rispetto all’azione prospettata.

L’Agenzia delle Entrate articola l’eccezione sull’assunto che la richiesta farebbe riferimento ad una provvista nella disponibilità del Ministero dell’Economia e delle Finanze e vincolata nelle finalità dalla legge (atteso che “le somme relative ai residui di gestione sono depositate in attesa di essere distribuite fra gli aventi diritto ai sensi dell’art. 44 DPR n. 43/88”).

Sul punto, tuttavia, si osserva che il citato art. 44 concerne la disciplina dei residui di gestione del concessionario in caso di revoca o decadenza e del commissionario governativo, indicando ai commi 4 e 5 la disciplina del “non riscosso come riscosso”; in particolare, il vincolo di destinazione sulle somme depositate presso Cassa Depositi e Prestiti è sì impresso sulle quote da ripartire, a norma dell’articolo 58, tra gli enti (titolari del credito) interessati secondo le rispettive spettanze, ma il 4 comma specifica che ciò avviene “eccettuate quelle relative a tributi per i quali il concessionario decaduto o revocato abbia provveduto al versamento in forza dell’obbligo del non riscosso come riscosso”, in quanto di spettanza degli ex esattori (ove abbiano chiaramente adempiuto alle prescrizioni di legge); tant’è vero che il successivo comma 5 riconosce ai concessionari decaduti o revocati il rimborso dei versamenti eseguiti (agli ex esattori) in forza dell’obbligo del non riscosso come riscosso.

Per contro, il rapporto degli ex agenti esattoriali rispetto al concessionario, trova la propria disciplina nel successivo art. 116 del D.P.R. 43/1988, il quale indica i presupposti per la soddisfazione del credito vantato per il “non riscosso come riscosso”, credito che trova la sua tutela, come detto, nel citato art. 44.

Pertanto, proprio sull’articolata disciplina dell’art. 116, poi integrata dal Regolamento ministeriale, ivi previsto al comma 2 e adottato con Decreto del 05/12/1989 n. 5768, viene regolato il rapporto tra concessionario ed esattore.

Su tale quadro di riferimento si collocano poi le successive ripartizioni delle competenze nella disciplina del non riscosso come riscosso, il cui ruolo preminente era assegnato alle Intendenze di finanza (poi soppresse, ut supra), a seguito della riforma sulla ristrutturazione del Ministero delle Finanze, di cui alla L. 358/1991, con la previsione delle Direzioni Regionali delle Entrate (all’art. 7) ed il successivo regolamento, adottato con D.P.R. del 27 marzo 1992, n. 287, che stabiliva, all’art. 75, comma 2, “Alla data di attivazione delle direzioni regionali delle entrate e delle direzioni compartimentali del territorio, le intendenze di finanza, […] sono soppressi e le relative competenze sono attribuite secondo le previsioni del presente regolamento”, specificando poi al successivo art. 79, comma 5, che “Dalla data di attivazione delle direzioni regionali delle entrate e delle direzioni compartimentali del territorio, le funzioni già di competenza delle soppresse intendenze di finanza, previste dai commi 3 e 4 dell’articolo 41 e dai commi 2 e 4 dell’articolo 42, sono esercitate, fino alla data di attivazione degli uffici delle entrate e degli uffici del territorio, dai competenti reparti delle medesime soppresse intendenze di finanza, che operano quali sezioni staccate, rispettivamente, della direzione regionale delle entrate e della direzione compartimentale del territorio, che le coordinano per la parte di competenza”.

Emerge, dunque, una successione di competenze tra l’originaria Intendenza di finanza e l’Agenzia delle Entrate e, rispetto a tale quadro di riferimento, è priva di pregio l’eccezione di difetto di legittimazione passiva dell’Agenzia delle Entrate, sull’assunto che si tratterebbe di una provvista vincolata nelle finalità dalla legge e nella disponibilità del Ministero dell’Economia e delle Finanze.

Infatti, oggetto del ricorso è l’accertamento del diritto di credito del dante causa della ricorrente “nei confronti di Agenzia delle Entrate, soggetto passivo tenuto al pagamento delle somme dovutegli e riconosciutegli in qualità di esattore della G. s.p.a.”; somme depositate presso la Cassa Depositi e Prestiti.

Pertanto, ciò che rileva nel presente giudizio è l’affermazione del diritto della ricorrente a veder attuata la disciplina di legge che consenta di accertare l’esistenza del proprio credito nei confronti dell’Agenzia delle Entrate, titolare del rapporto e chiamata a supplire alle carenze del concessionario decaduto (nell’iter che prevedeva in precedenza il ruolo dell’Intendenza di Finanza), per poi consentire il versamento alla ricorrente delle somme oggetto del non riscosso come riscosso – ove ricorrano le condizioni di legge – depositate presso Cassa Depositi e Prestiti.

8. Nel merito il ricorso è infondato e va rigettato.

8.1 Il quadro normativo delineato nel punto che precede chiarisce anche la disciplina del non riscosso come riscosso da parte dell’(ex) agente della riscossione rispetto al rapporto con il concessionario e l’Intendenza di Finanza (oggi Direzione Regionale dell’Entrate).

In particolare, l’art. 116 del D.P.R. 43/1988, dopo aver indicato gli adempimenti dei cessati esattori nei confronti dei concessionari subentrati, al comma 3, stabiliva espressamente che con apposito decreto ministeriale, sarebbero state stabilite le modalità per la definizione “dei rapporti tra concessionari subentrati ed esattori cessati relativamente alle somme anticipate all’erario e agli altri enti impositori in virtu’, dell’obbligo del non riscosso come riscosso”.

Il decreto ministeriale sopra richiamato, all’art. 6 ha dunque previsto per i residui di gestione “relativi a partite per le quali, alla data del 31 dicembre 1989, siano scaduti i termini di pagamento, ma non sia scaduto il termine per la presentazione delle domande di rimborso a titolo di inesigibilita’, e non vi e’ stata anticipazione della domanda stessa” la formazione di separati elenchi, dati in carico al concessionario, da riscuotere con l’obbligo del non riscosso come riscosso. Per tali crediti la procedura prevedeva all’art. 7 che gli elenchi andassero compilati e sottoscritti in contraddittorio tra il cessato esattore e il concessionario e “trasmessi alla competente intendenza entro il 28 febbraio 1990 e da questa vistati e consegnati entro i successivi dieci giorni al concessionario con apposito verbale di consegna”, consentendo alle intendenze di finanza di provvedere al discarico dei cessati esattori delle partite incluse in detti elenchi e, come conseguenza, prevista dal successivo art. 8, il concessionario avrebbe poi provveduto a versare al cessato esattore l’importo dei residui, al netto dell’aggio, “purché risultino effettivamente anticipati dal cessato esattore, sulla base di dichiarazione resa da quest’ultimo e vistata dalla competente intendenza di finanza”, mentre i residui non anticipati dal cessato esattore sarebbero poi stati versati dal concessionario all’erario ed agli altri enti impositivi.

Rispetto a tale modalità operativa disposta dalla legge il ricorrente non ha fornito alcuna prova in ordine agli adempimenti ivi prescritti e, in particolare, la dichiarazione dell’ex agente della riscossione di effettiva anticipazione delle somme, debitamente vistata dall’Intendenza di Finanza.

Tale mancato adempimento, il cui onere probatorio incombeva sul ricorrente, preclude la possibilità di accertare l’esistenza del credito richiesto in questa sede, poiché manca il presupposto primo (presentazione della dichiarazione sulle avvenute anticipazioni vistate dall’Intendenza di Finanza) dal quale poi discendono tutti i successivi adempimenti.

8.2 Pertanto, rispetto all’assenza di tale dichiarazione vistata (presupposto imprescindibile del riconoscimento del diritto di credito vantato) restano assorbite tutte le altre questioni sollevate dalla ricorrente.

In particolare, resta assorbito il profilo relativo al presupposto dell’effettiva anticipazione delle somme, che nella dichiarazione vistata trova la sua necessaria rappresentazione e la cui prova, peraltro, non è stata in alcun modo fornita in questa sede e né può essere oggetto di attività istruttoria specifica alla luce del principio dispositivo, ex art 115 c.p.c. richiamato dall’art. 7, comma 2 c.g.c., che regola il giudizio contabile.

In tal senso, non può considerarsi quale riconoscimento del debito la nota del 2 marzo 1999 con la quale la D.R.E. si limitava a comunicare i dati e le notizie in suo possesso, relativi alle somme riscosse da G. e poi da GET, pur in assenza di rendiconto della loro gestione; aspetto questo che impediva il riparto tra gli aventi diritto.

Sul punto appare puntuale il richiamo di parte resistente alla sentenza n. 413/2019 della Seconda Sezione Centrale di Appello della Corte dei conti, nella quale i giudici contabili hanno escluso che la nota con cui l’Agenzia delle entrate ha comunicato le giacenze sui depositi intestati alla G. S.p.a. costituisca riconoscimento del debito, atteso che “L’atto di riconoscimento di debito, pur non essendo soggetto a particolari requisiti formali, non esigendo formule speciali e potendo risultare da qualsiasi atto, deve consistere in una manifestazione inequivocamente e consapevolmente finalizzata all’ammissione di un proprio debito nei confronti di un altro soggetto, in un contesto che escluda finalizzazioni diverse. Nella vicenda in esame, in primo luogo, difetta la condizione della inequivocità della dichiarazione. Ed infatti, quella nota, lungi dal possedere connotati negoziali, si limitava a fornire una manifestazione di scienza, certificando solo l’esistenza e la consistenza di depositi presso la CDP, intestati alla G. e riferibili a residui della sua gestione. […]

Dunque, quella dichiarazione non avrebbe potuto integrare un riconoscimento del debito costituendo solo espressione della funzione certativa di una situazione oggettiva, sprovvista di ulteriori conseguenze sulla distribuzione dei diritti sulle somme depositate. In tale contesto, quindi, assume rilievo il disposto dell’art. 44 del d.P.R. 43/1988 recante un’articolata disciplina riguardante, specificamente, i residui di gestione del concessionario per il caso di revoca o decadenza e del commissionario governativo”.

9. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano – secondo i criteri ed i (derogabili) parametri previsti dal D.M. 55/2014 nonché tenendo conto del valore della domanda, del grado di complessità delle questioni giuridiche trattate e del numero di scritti difensivi depositati – come da dispositivo.

PQM

La Corte dei conti, Sezione Giurisdizionale per la Calabria, definitivamente pronunciando, con riferimento al giudizio ad istanza di parte promosso da B. I. iscritto al n. 23125 del Registro di Segreteria:

– respinge il ricorso;

– condanna B. I. al pagamento delle spese processuali in favore dell’Agenzia delle Entrate, che si liquidano in € 7.400,00, oltre accessori come per legge.

Manda alla Segreteria per adempimenti di competenza.

Così deciso in Catanzaro nella camera di consiglio dell’8 febbraio 2022.

Il Relatore Il Presidente

Guido Tarantelli Luigi Cirillo

Firmato digitalmente Firmato digitalmente

Depositata in segreteria il 10/06/2022

Il Funzionario responsabile Dott.ssa Stefania Vasapollo Firmato digitalmente